Come finisce il progetto Kraus: riflessioni a partire dai libri di Gazoia e Franzen sullo stato della cultura

IL CICLO DEL LIBRO, I LETTORI FORTI E LA BOLLA EDITORIALE

Il dibattito su come dovrebbe cambiare l’editoria (o i lettori) sta imperversando da mesi. In Italia, come è noto, vengono pubblicati ogni anno migliaia di titoli, con il risultato che ogni libro si ritrova a dover lottare per ottenere visibilità. Ovviamente però non tutti i libri hanno alle spalle la promozione riservata ai probabili best-seller e ovviamente le librerie non hanno a disposizione uno spazio infinito, perciò ogni libro ha due possibilità: farsi notare in mezzo alla folla entro i primi 30/40 giorni, oppure finire in resa ed eventualmente al macero. Farsi notare diventa ancora più facile se il libro è pubblicato da una grande casa editrice, possibilmente di una di quelle che possiede anche negozi di catena. Il problema è che molti libri non si prestano ad essere “fagocitati” velocemente dai lettori, ma necessitano di tempo per essere apprezzati. Diventa però difficile essere apprezzati se nel giro di appena un mese si rischia di scomparire dai negozi. Diventa ancora più difficile se consideriamo che le persone in Italia leggono pochissimo. In pratica il futuro dell’editoria italiana è in mano a meno di 4 milioni di persone (o dovremmo dire donne, dato che come si è già detto leggono di più rispetto agli uomini?), i cosiddetti lettori forti, che leggono almeno 12 libri all’anno. Perché pubblicare così tanti titoli nuovi se leggono così in pochi? In tanti si sono fatti questa domanda, soprattutto a fronte della gran quantità di titoli-spazzatura (perché diciamolo, per ogni Fabio Volo grazie alle cui vendite ci illudiamo verranno pubblicati libri degni di nota vengono buttati fuori diamanti da Tiffany e altre amenità che non credo facciano la differenza nei bilanci delle case editrici) che offuscano le uscite buone e soprattutto le case editrici indipendenti. Le quali, paradossalmente, se rischiano di essere messe in secondo piano nelle librerie fisiche, di certo non lo sono online, dove sono sempre disponibili – ma su Amazon e compagnia bella mi soffermerò più avanti. Libri e Kindle Marco Cassini e altri hanno proposto di ridurre la quantità dei titoli pubblicati per puntare sulla qualità, sul giusto tempo da dedicare ad ogni libro in modo che ogni suo singolo aspetto (dalla correzione delle bozze, alla traduzione, al marketing e alla grafica) possa essere curato come merita. Pochi sembrano aver aderito alla “campagna” e come sempre chi avrebbe dovuto aderire più di tutti non l’ha fatto. Il rischio ovviamente è che la cosiddetta bolla editoriale esploda e che a perderci siano tutte le persone coinvolte in un modo o nell’altro nel processo editoriale Del problema della visibilità di cui sopra risentono anche gli esordienti, i quali non godendo della pubblicità di uno Stephen King si ritrovano a finire presto nel turbine della resa/remainder/macero. Ecco allora che entra in campo la nuova frontiera dell’editoria: l’autopubblicazione su ebook.

EBOOK E EDITORIA TRADIZIONALE

Farsi notare dalle case editrici è sempre più difficile, e anche ammesso di riuscire ad essere pubblicati, la breve vita sullo scaffale della libreria non giova agli esordienti. Quindi perché non tentare la via dell’autopubblicazione? Caricare un file su un qualsiasi sito di hosting per pubblicare a tutti gli effetti il proprio libro è semplicissimo, perciò tanti scrittori preferiscono il fai-da-te e aiutati da figli, amici che disegnano la copertina e chi più ne ha più ne metta si tuffano nel mare degli ebook. I vantaggi di questa scelta sono molteplici: margini di guadagno superiori, nessuna interferenza da parte di terzi sul contenuto del testo, libertà totale. Dall’altra parte, però, l’autore che si autopubblica raramente si affida ad un grafico per la copertina (e il buon vecchio “non si giudica un libro dalla copertina” riacquista brutalmente il suo significato letterale di fronte a certi obbrobri) e ancor più raramente sarà in grado di autopromuoversi. Il pericolo di essere tacciati di spam è dietro l’angolo e per quanto riguarda la distribuzione negli store online la scelta è sempre e solo fra Amazon e qualche suo altro concorrente. Un ulteriore rischio è quello di essere considerati inferiori agli scrittori “veri”, quelli che un libro l’hanno pubblicato su carta. In Italia si sente spesso questa critica nei confronti di chi, molto spesso, per modestia, non prova nemmeno la via dell’editoria tradizionale, perché il proprio scopo è quello di sentirsi orgogliosi di se stessi e sapere di aver portato a termine la propria storia, che a qualcuno interessi leggerla oppure no poco importa. Nel Regno Unito, ad esempio, stanno rivalutando molto il self-publishing anche a livello accademico, tanto che Alison Baverstock (oltre ad aver scritto un libro sulla questione e insegnare queste cose in un corso di laurea magistrale) in una conferenza della Society of Young Publishers a cui ho assistito a Londra spiegava che molto spesso nel self-publishing si trovano delle vere e proprie nicchie di mercato, come ad esempio i memoir di guerra. Inoltre, vi sono agenzie letterarie a cui gli autori self-published possono rivolgersi e in linea di massima, per quanto come in Italia ci sia il pregiudizio che l’autopubblicazione sia di serie B (publish or perish!), molti autori sono rispettati e hanno un seguito di lettori affezionati. Mi sento in dovere di precisare che non si sta parlando di saghe alla 50sfumature (o peggio ancora di dinoporn) o di vampiri, e lo dico perché invece lo scopo con cui Amazon era partito per il suo Kindle era proprio quello di creare uno spazio per il fantasy, i romanzi rosa e la narrativa erotica, tutti generi che si prestano alla serializzazione e i cui fruitori sono solitamente anche su carta poco interessati alla cura del prodotto. Questo è il motivo per cui dal punto di vista strettamente tecnico il Kindle non è esattamente il lettore migliore disponibile sul mercato. Se poi aggiungiamo che con il sistema di lock-in fa sì che o si compri su Amazon o si debba per forza convertire i file (e quindi il viceversa, ossia comprare su Amazon per leggere su un altro dispositivo non sia possibile), ci rendiamo conto di quanto Amazon giochi a suo vantaggio nel momento in cui lancia il suo portale di self-publishing e il suo (fallito) tentativo di attirare a sé gli scrittori e i lettori di fanfiction (l’odiatissimo Kindle Worlds). Effettivamente la maggior parte degli scrittori di successo di Amazon sono proprio autori di saghe che soprattutto grazie ai social network (e al fatto di scrivere in inglese, altro aspetto da ricordare quando guardiamo ad un mercato come quello italiano, letto e fruito praticamente solo da noi) riescono a entrare in diretto contatto con i propri lettori, spesso sfruttando una sorta di editing e feedback totalmente gratuiti. Perché l’autopubblicazione e gli ebook in generale spaventano l’editoria tradizionale? Non so rispondermi a questa domanda, prima di tutto perché l’analisi fatta da Alessandro Gazoia sui pro e i contro di ebook e libri cartacei (focalizzata sulle problematiche e sui vantaggi di entrambi) è davvero esaustiva, e in secondo luogo perché non ritengo che ci sia nessuna guerra fra carta e pixel. Posseggo un Kindle, ma non per questo ho smesso di comprare e leggere libri cartacei (ne sa qualcosa chi mi è venuto a trovare a Londra e si è visto riempire il suo unico bagaglio con libri della sottoscritta – in totale credo di averne comprati una cosa come 13 in 2 mesi). Adoro il mio Kindle, mi permette di avere accesso a prezzi onesti a libri in lingua originale i cui cartacei mi costerebbero un mutuo e mi consente di approfittare di offerte lampo che mi spingono a leggere libri che magari non avrei comprato altrimenti. Nonostante ciò, chi mi conosce sa che quando devo fare un viaggio (sia anche solo andare al mare per un weekend) puntualmente infilo nella borsa il Kindle e almeno 2 libri cartacei, e dato che posso considerarmi una lettrice forte, direi che le case editrici non hanno niente da temere: chi ama leggere legge in tutte le forme.

AMAZON, L’APOCALISSE E IL RAPPORTO CON I LETTORI

Jeff Bezos e James Joyce
Potevo forse resistere alla tentazione di Bezos che brandisce un Kindle con sopra Joyce?

“Your brand is what people say about you when you’re not in the room” – Jeff Bezos

Siamo tutti tentati da Amazon. La sottoscritta in particolar modo. Ricordo di aver creato il mio account quando ancora non c’era il sito italiano (e avevo un account anche su Ibs, La Feltrinelli e  La Libreria Universitaria). A tutti piace spendere poco, è inutile negarlo, soprattutto se poi ti portano i libri direttamente a casa e se puoi trovare libri che cercavi da secoli. Perché diciamolo, molto spesso ordinare un libro in libreria non è proprio comodissimo: i tempi di attesa sono lunghi e spesso i commessi non sanno consigliare altri libri o autori che possono fare al caso nostro. Siamo diventati pigri? Può darsi. Ma da ex studentessa fuori sede posso solo dire che farmi spedire libri su cui preparare esami o tesi direttamente a Trieste mi ha risparmiato chili in valigia. Andando più a fondo nella questione, però, è evidente che Amazon è riuscita a incantarci tutti, a spingerci ad una fidelizzazione a tratti inquietante (persino mia mamma decanta Amazon e la facilità di reperire libri di chimica che prima le era preclusa, e senza offesa, ma come tutte le mamme è un po’ come quella di ZeroCalcare). Il nostro livello di adorazione è tale per cui lavoriamo letteralmente gratis per Jeff Bezos. La maggior parte delle recensioni che si leggono sul sito sono infatti in primo luogo un elogio alla rapidità di Amazon, un encomio alla qualità del pacchetto, una storia di vita vissuta in cui il Customer Care funziona davvero ed è gentile. Solo dopo tutto questo scopriamo se la planetaria che vogliamo comprare ai nostri genitori funziona sul serio o è una ciofeca. Tuttavia il nostro lavoro gratuito non finisce qua: a volte scriviamo recensioni e con le nostre ricerche e liste dei desideri diamo informazioni che Amazon utilizza per suggerirci altri prodotti e quel che è peggio è che nonostante tutto questo sia in realtà una violazione della nostra privacy, ci piace. Non solo, ma questi servizi orientati al consumatore, in aggiunta a prezzi competitivi e alla possibilità di trovare chicche e di riuscire pure a farsi spedire il tutto gratuitamente e in tempo record ci fanno chiudere un occhio di fronte alle ormai note condizioni di lavoro di chi si ritrova rinchiuso dentro ai magazzini Amazon tutto il santo giorno. Poco importa se hanno un tempo limitato per accaparrare il libro che noi dobbiamo assolutamente avere fra le mani entro 24 ore, se rischiano di essere licenziati in tronco per un ritardo di 30 secondi e se devono lavorare anche se salta la corrente. Non ci importa, perché pensiamo che in un periodo di crisi come questo almeno loro un lavoro ce l’hanno, che nessuno impedisce loro di licenziarsi e che in fondo c’è chi sta peggio. Vero, ultimamente si parla di boicottarlo, ma conoscete qualcuno che davvero abbia smesso di utilizzare Amazon? Io no. Anche quelli che sostengono di comprare solo su Ibs o su The Book Depository poi utilizzano GoodReads, comprata da Amazon, o Anobii, comprata da Mondadori. Non sarebbe più corretto, invece di millantare boicottaggi, comprendere quello che sta succedendo e agire di conseguenza dall’interno? Un esempio è la pratica delle recensioni: si sa che la maggior parte delle recensioni sono fasulle, cioè sono state commissionate (o auto scritte) da chi vuole venderci qualcosa, sia questo il suo libro o un nuovo aggeggio tecnologico. C’è chi obietterà che GoodReads è ancora un’isola felice dal punto di vista delle recensioni, per cui anche a queste persone rispondo che non è per niente detto. In fondo anche quando mettiamo stelline o spendiamo due parole su GoodReads stiamo di nuovo lavorando gratis per Amazon e dunque l’unico modo per sfuggire alle recensioni pagate è quello di guardare chi le ha scritte. Seguite persone “fidate”, leggete le recensioni di queste persone o dei vostri amici, oppure, se decidete di abbandonare del tutto queste due piattaforme, fatelo in toto. Buttatevi su progetti come I’ve Read That, un sito per recensire libri di cui hanno parlato alla London Book Fair. O se siete smanettoni a livello pro, createne uno italiano. Insomma, è inutile scaldarsi tanto online, tanto Jeff Bezos si compra i domini anti Amazon. E risponde pure alla famosa lettera di 900 scrittori per quanto riguarda la disputa con Hachette, perché l’immagine che vuole dare di sé è quella che ci fa amare il suo Servizio Consumatori, ossia quella di una persona disponibile al dialogo, che in fin dei conti stava solo facendo il proprio lavoro e non voleva boicottare Hachette, ma Hachette aveva fatto cartello e quindi che cavolo. La lettera degli scrittori fa specie, perché se è vero che gli scrittori giustamente non hanno colpe né responsabilità in questa lotta, è pur vero, come non hanno mancato di sottolineare, che Amazon prospera anche grazie a loro e fa specie perché è interessante vedere come il ruolo degli scrittori non sia solo e unicamente quello di scrivere libri, ma anche di riflettere sul mondo che li circonda (cosa che in passato era più evidente). In questo, lo scrittore che più di tutti si è preso a cuore la questione sociale è sicuramente Jonathan Franzen. Con il suo Progetto Kraus Franzen prende spunto dai saggi di un intellettuale tedesco per mostrarci quanto il mondo di un secolo fa non fosse poi così diverso da quello in cui viviamo oggi. Kraus era quello che oggi definiremmo un figlio di papà. Era un privilegiato che poteva permettersi di pubblicare una rivista scritta e curata interamente da lui e in cui essenzialmente se la prendeva con tutti. Odiava la stampa sensazionalistica, odiava i prodotti letterari di massa (avrebbe odiato i blog, nonostante il suo Die Fackel fosse molto paragonabile a un blog), odiava la tecnologia moderna. Su quest’ultimo punto fa leva Franzen per farci comprendere quanto Kraus avesse ragione, ma lo fa mettendoci in guardia: Kraus non odiava la tecnologia in quanto tale (usava il telefono e addirittura volava), odiava il modo in cui la gente si facesse governare da quest’ultima. Nel momento in cui da schiava la tecnologia diventa padrona non possiamo non aprire gli occhi anche noi di fronte a quello che ci sta succedendo: stiamo diventando schiavi. Il progresso tecnologico non è più soltanto un aiuto che ci viene incontro dove le nostre capacità umane non possono arrivare, ma sta prendendo il posto della moralità. Con questo non voglio essere catastrofica o inneggiare al complotto, però sicuramente un fondo di verità c’è. Come Kraus lamentava della società viennese di inizio ‘900, anche la nostra società sta puntando sulla velocità e sull’accessibilità rispetto al ragionamento. Mi spiego: un articolo conciso da leggere sullo schermo dello smartphone contro un romanzo di 800 pagine. I discorsi dei politici sull’insegnare a scuola materie volte solo a trovare lavoro contro l’insegnare l’amore per le materie umanistiche e la voglia di diventare esseri umani migliori. Kraus incolpava la resa alla tecnologia della perdita di immaginazione e riteneva che leggere senza più riflettere, senza più fare sforzi avrebbe portato alla fine dell’umanità – e di lì a poco infatti scoppiò la prima guerra mondiale. Perdere la capacità di ragionare e pensare su quello che leggiamo, vediamo e ascoltiamo porterà all’apocalisse, un’apocalisse individuale, come la definisce Franzen, dove quell’insieme di valori con cui siamo cresciuti cambia e dove le predizioni di Kraus, cioè che il mondo abbia “perso la capacità di essere una posterità”, si sta avverando.

Il progetto Kraus e Jonathan Franzen
Franzen e il suo ultimo libro

Franzen se la prende con Amazon perché sta cambiando radicalmente il mondo della cultura, perché punta a diventare una casa editrice dove vince chi urla più forte sui social network, dove le recensioni si pagano e il libro diventa uno dei tanti prodotti sputati fuori in quantità industriale da operai mal pagati e venduti a prezzi stracciati in tempo record. La speranza – e quello che personalmente mi auguro – non è tanto che la gente boicotti Amazon a parole, ma che ritorni a apprezzare il libro in quanto frutto del lavoro di più persone e a non farsi abbindolare dalle recensioni a pagamento o da chi è più bravo ad autopromuoversi. Che riscopra le librerie non di catena (perché boicottare Amazon entrando alla Feltrinelli è inutile) e che le librerie non di catena cerchino di stare anche loro al passo coi tempi. [Il fatto che io ora stia parlando di Franzen su un blog, piattaforma che lui odia, e che i suoi libri siano venduti su Amazon mi fa ridere ed è un paradosso interessantissimo]   In conclusione, i lettori che davvero vogliono fare la differenza sono liberi di fare scelte consapevoli senza per forza dover rinunciare a nulla. Leggere ebook non porterà alla morte del cartaceo, ma scaricare pdf illegalmente sì. Comprare su internet non farà chiudere le librerie indipendenti, se ci si rivolge al web solo quando la libreria cartacea non può venirci in aiuto. Frequentare le librerie di catena non è il male, se ci si tiene informati sugli incontri proposti dalle librerie indipendenti e le biblioteche. Viviamo immersi fino al collo nella tecnologia, ma questo non ci vieta di essere un po’ più come Franzen e cercare perlomeno di ragionare attentamente su quello che facciamo o leggiamo e di prendere decisioni consapevoli, sapendo quando usiamo internet come lo stiamo usando e perché. Perché la vera rivoluzione è quella che avviene nella nostra testa, non sul nostro feed di Twitter.

“Un tempo in cui la memoria non va al di là dei tempi di digestione, come potrebbe allungarsi verso qualcosa che non gli stia davanti, immediatamente accessibile? […] E’ un tempo che afferra solo con le mani. E le macchine risparmiano anche le mani. […] I posteri non esistono più, ci sono soltanto dei viventi che esprimono una grande soddisfazione per il fatto di esserci, perché c’è un presente che si procaccia da sé le proprie novità e non ha segreti davanti al futuro” – Questo lo diceva Kraus nel 1912

Bibliografia e articoli interessanti:

Traduttrice, femminista, lettrice.
Articolo creato 41

2 commenti su “Come finisce il progetto Kraus: riflessioni a partire dai libri di Gazoia e Franzen sullo stato della cultura

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