Perché Gatsby (il film) non mi e’ piaciuto

Parto con una premessa: io adoro Baz Luhrmann. Mi piace la musica che sceglie e mi piace la sua teatralità. Romeo + Giulietta e Moulin Rouge sono tra i miei film preferiti di sempre. Allo stesso tempo, però, adoro Il Grande Gatsby, i suoi simboli, i suoi personaggi (sì, anche Daisy l’antipatica) e la sua prosa. Probabilmente mi ero fatta tante, troppe aspettative e pensavo che unire il genio di Baz a quello di Fitzgerald avrebbe sortito effetti magici. Ora, non che il film mi abbia fatto schifo (anzi, sto facendo un pensierino ad una seconda visione), però semplicemente ci sono una serie cose che il registra avrebbe potuto risparmiarsi – a cominciare dal 3D, di cui non vedo praticamente mai l’utilità.
Il Grande Gatsby è un romanzo dove il non detto gioca un ruolo fondamentale, non solo perché il narratore/protagonista Nick Carraway (che come spiega John Green ha nel suo nome l’essere un po’ ambiguo: Care Away) non può essere presente in tutti i momenti vissuti dagli altri personaggi, ma anche perché Jay Gatsby è volutamente misterioso.
Ora, io capisco che la trasposizione cinematografica, in quanto “traduzione” dal libro al film, non possa essere identica in tutto e per tutto alla storia scritta, anzi è giusto che sia così, perché il cinema permette di fare cose che sulla carta non si possono fare e viceversa. Né mi oppongo a quelle piccole libertà che un regista può prendersi, poiché in fin dei conti, come e forse più che nella traduzione scritta, chi opera il processo di trasposizione interpreta l’opera originale ed è colpito da certi elementi più che da altri. Quindi apprezzo come il personaggio di Gatsby sia stato reso ancora più grande (lui e le sue feste) da Luhrmann e come siano stati ampliati momenti di intimità tra Jay e Daisy, momenti in cui ovviamente Nick non poteva essere presente. Tuttavia, ho trovato un po’ fastidiosa l’idea di rendere la vicenda una storia raccontata da Nick da un ospedale psichiatrico. So che questo è il tributo di Luhrmann alla figura di Fitzgerald (fra i sintomi riportati dal medico ci sono infatti l’alcoolismo, a causa del quale Scott morirà, l’insonnia e tanti altri sintomi propri di Zelda), però mi sembra comunque un’interpretazione molto forzata e anche in un certo senso scostante dalla figura di Nick, che sicuramente possiamo immaginare colpito anche psicologicamente dal crollo di Wall Street (la data di ammissione all’ospedale è proprio nel 1929), ma che Fitzgerald non ha voluto caratterizzare in questo modo (anche perché il libro è uscito nel ’25), né ha reso il libro una sorta di diario del paziente. Anzi, il Nick dell’inizio del Grande Gatsby fa un discorso sulle proprie origini e sul giudicare le persone, aspetto che, facendo vestire i panni di Nick a Tobey Maguire, non si coglie. Nick è un po’ ingenuo e ambiguo, lui stesso ammette di essere dentro e fuori, ma ciò non significa che sia uno stupido con una faccetta sempre sbalordita.
Un altro personaggio che secondo me è stato sviluppato male, o meglio, non sviluppato per niente, è quello di Jordan Baker. L’attrice è perfetta fisicamente e mi è piaciuta la sua recitazione, però il cancellare la sua personalità (veramente ambigua e poco onesta nel libro) e soprattutto la sua relazione con Nick, tolgono molto al suo personaggio, nonché al personaggio stesso di Nick.
Come ultimo aspetto strettamente legato al libro, mi sento di criticare anche la mancata dimensione storica. Se è vero che tutti sanno che Fitzgerald ha saputo dipingere perfettamente i ruggenti anni ’20, il mito americano e la vita dell’epoca, è anche vero che un piccolo assaggio di questi temi sarebbero dovuti essere presenti nel film. Con questo non voglio dire che la vicenda del Grande Gatsby non possa essere compresa al di fuori del suo contesto storico e sicuramente Luhrmann lo sa bene, visto che è riuscito a trasporre perfettamente Romeo e Giulietta ai giorni nostri. Qui però non c’è trasposizione, non c’è il tocco alla Lurhmann che avevamo appunto visto in Romeo + Giulietta. Qui Lurhmann non è al suo massimo. E’ vero che i temi del libro sono universali, altrimenti non saremmo ancora qui a parlarne dopo decenni, però ripeto, nel film, che non è una trasposizione agli anni 2000, manca il contesto storico, manca il concetto del mito americano. Certo, non è che questi temi non siano stati accennati, però secondo me chi non ha letto il libro non li coglierà allo stesso modo di chi l’ha letto.
Perché dico che Luhrmann non è al suo massimo? Perché sinceramente alcuni dettagli già visti in film precedenti – vale a dire la scrittura a macchina con le lettere che compaiono sullo schermo (vedi Moulin Rouge) e una scena fra Daisy e Jay che ricorda il primo incontro tra Romeo e Giulietta – mi sono sembrati un voler vincere facile, quando invece si sarebbe potuto fare altro e farlo meglio. Come se non bastasse, ha puntato molto, troppo, l’attenzione sulla storia d’amore. Il Grande Gatsby non è (solo) una storia d’amore. Per questo non ho apprezzato la dimensione storica solo abbozzata e la poca profondità di altri elementi, perché chi non ha letto il libro vedrà un Grande Gatsby parziale, il che non è un delitto, però non è nemmeno una traduzione del tutto fedele, se vogliamo vederlo sotto questo punto di vista.
In realtà, il film è bello. Leonardo di Caprio e Carey Mulligan sono perfetti, i costumi tolgono il fiato, i dialoghi (a parte qualche errore osceno di traduzione che tutti hanno notato: “Sono SENZ’ALTRO contenta di vederti” e la scena del “non si può ripetere il passato”) sono molto spesso quelli di Fitzgerald, però per quei dettagli di cui sopra sono rimasta un po’ delusa. Chissà che una seconda visione me lo faccia amare un po’ di più.
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