Copertina de Le quattro ragazze Wieselberger

Le quattro ragazze Wieselberger: la storia di una famiglia e la storia dell’Italia, una scrittrice ingiustamente dimenticata.

Chiunque sia stato a Trieste sa che la vista da piazza Unità è indimenticabile. Si sente il profumo del mare, lo si vede luccicare, mentre tutto intorno la piazza ti abbraccia con i suoi palazzi così diversi da ogni altra città italiana. Perché Trieste non è poi così italiana, non c’è una chiesa nella piazza principale, non ci sono, come nella mia Ferrara, piccole stradine medievali tortuose. A Trieste l’influenza austriaca è lampante: basta raggiungerla in treno per scorgere il castello di Miramare, basta uscire dalla stazione per trovarsi di fronte ad una statua di Sissi (se i gabbiani non vi fanno paura) e basta passeggiare per il centro per essere sopraffatti dai bellissimi palazzi che lo adornano.

Copertina de Le quattro ragazze Wieselberger

Immaginate che a raccontarvi della Trieste di inizio Novecento siano gli occhi di una bambina e avrete buona parte del romanzo di Fausta Cialente. Immaginate di crescere insieme a questa bambina e di poter osservare la sua famiglia e parallelamente la storia di un’Italia sopraffatta da due guerre mondiali. Avrete Le quattro ragazze Wieselberger.

Alice, Alba, Adele ed Elsa nascono in una Trieste ottocentesca, figlie di un maestro di musica che insegna loro a suonare il pianoforte e a riconoscere le sue arie preferite. Quattro ragazze che nella propria casa su Ponterosso assistono a ricevimenti dove il padre dirige i musicisti e le signore ciàcolano. La prima parte del romanzo è infatti intrisa di dialetto triestino e di riferimenti musicali (la musica rimarrà una componente importante nella vita della Cialente), ma anche e soprattutto di riferimenti alla storia di Trieste e di quell’Italia di cui non era ancora parte. Elsa, l’ultima figlia e madre della Cialente, farà da collante in tutto il romanzo, che passa da una narrazione in terza persona alla narrazione in prima persona della Cialente in quanto donna adulta.

I Wieselberger sono la classica famiglia borghese benestante e irredentista della Trieste di fine Ottocento, i cui capostipiti cercano di dare il meglio alle proprie figlie, ma senza esagerare (il padre, dopo la nascita di Elsa, decide di non lasciare la carrozza alle ragazze proprio perché non si abituino troppo bene). Per l’epoca potrebbero anche essere considerati all’avanguardia, se si pensa che Elsa andrà a studiare canto in Italia, a Bologna, che allora era appunto “all’estero”. E’ proprio Elsa ad essere il simbolo di un’opportunità sprecata. Cresciuta in un ambiente agiato, durante uno dei tanti ricevimenti ballerà con tale Ettore Schmitz, senza che questi la colpisca più tanto, mentre non si può dire altrettanto del contrario, visto che ne La Coscienza di Zeno si troveranno tre figlie con nomi che cominciano con la “a”. Una volta terminati gli studi in Italia, Elsa ha di fronte a sé la possibilità di essere una donna indipendente e di poter vivere del proprio lavoro di cantante, eppure rinuncia a tutto questo per sposare il papà di Fausta, un ufficiale italiano. Fausta vede nel padre, militare contrario alla guerra, meridionale contro il sud, italiano contrario all’irredentismo, tutto ciò che non è la madre, simbolo invece di cultura, musica, di un dialetto associato alla famiglia e alla quotidianità, quella quotidianità che lei può osservare durante le estati triestine. A causa del lavoro del padre la famiglia si sposterà in varie zone dell’Italia e Fausta prenderà sempre Trieste come modello di paragone, soprattutto nel momento in cui, ancora bambina, si rende conto delle differenze economiche e sociali che esistevano fra Trieste e l’Abruzzo (di dove era originario il padre). Nonostante i continui spostamenti Fausta è una bambina felice, che si abitua a doversi spostare in fretta e si presta ad aiutare il fratello maggiore Renato nell’inscenare recite casalinghe (Renato diventerà un noto attore di teatro, morto in un incidente sospetto durante la seconda guerra mondiale). Gli occhi della Cialente ci mostrano come, con il passare del tempo, l’aura magica che circonda il parentado materno, pur non scomparendo mai del tutto (la scrittrice si sentirà sempre legata a questa terra, nonostante nella sua vita dichiari di sentirsi “straniera dappertutto”), lasci piano piano spazio a una critica sociale nei confronti della borghesia dell’epoca e nei confronti della posizione della donna. La borghesia (tema che la Cialente affronta anche in altre sue opere) è una borghesia cieca, che non comprende la delicatezza del momento storico che sta vivendo e per questo si ritrova poi a dover affrontare due conflitti di portata mondiale. I parenti triestini infatti non si rendono conto che la loro agiatezza deriva proprio dall’essere un crogiuolo di razze che l’impero asburgico lascia libere di vivere in armonia. Ecco allora che la storia di Trieste, dell’irredentismo e del rapporto con l’Italia si legano alla storia della famiglia Wieselberger, che comprenderà a proprie spese il significato di quell’odio nei confronti di altri che stava cominciando a diffondersi un po’ ovunque in Europa.

Le due guerre mondiali daranno infatti prova ai parenti triestini di quanto la borghesia fosse una classe miope e i discorsi scettici e rabbiosi del padre di Fausta risulteranno essere, col senno di poi, non del tutto lontani dalla realtà.

 

L’alterigia borghese, come posa nelle fotografie a lato di una colonna mozza, il piede elegantemente poggiato sui gradini ricoperti di morbidi tappeti, nella vita posa al successo, alla felicità; quattrini molti, e matrimoni ben riusciti sempre, benedetti pure da abbondanti figliuolanze, quasi fosse una vergogna inconfessabile, peggio d’un tracollo in borsa, rivelare che i matrimoni possono fallire e l’amore risultare moneta falsa.

 

Che significa allora la fotografia gelosamente conservata delle due fanciulle che sembrano iniziare da sole un bel viaggio verso un libero, luminoso avvenire? e quella di Alice così altera e triste, con quel minaccioso cappello in testa? Sono le immagini di chi sopporterà o ha già cominciato a sopportare umiliazioni e offese senz’avere la possibilità d’imparare – e non lo impareranno mai – che non vale la pena, nemmeno per i figli, di patire tanto. Ma non è concepibile, a quei tempi, il rivoltarsi a un’educazione buona per una società in cui governano da padroni gli uomini soltanto; e non per un istinto di emancipazione femminile che le due sorelle, sulla fine del secolo o l’inizio di questo, non potevano avere e probabilmente esecravano o mettevano in ridicolo, ma piuttosto perché sono ancora sotto l’influenza e il romantico ricordo dell’armonia coniugale dei genitori, sbalordite nell’intimo che così non sia stato per esse. Nonostante l’irredentismo appassionato che potrebbe farle credere se non rivoluzionarie almeno ribelli, sono due prudenti signore borghesi che accettano l’ordine e i limiti della loro classe e nonostante le tristi esperienze si preparano a educare i figli – le femmine soprattutto – alle rinunce e ai sacrifici.

 

Sarà Fausta stessa a fare da apripista, comprendendo, più avanti negli anni, di essersi sposata per sfuggire da una realtà, quella italiana, che non le piaceva. Il marito, Enrico Terni, è vicepresidente della Société des Concerts e organizza spesso, nella loro casa ad Alessandria d’Egitto, serate musicali. Sarà proprio dall’Egitto che la Cialente comincerà la propria carriera giornalistica e di intellettuale. Nel 1943 fonda Fronte Unito, un periodico che veniva distribuito ai prigionieri di guerra italiani e sempre dall’Egitto lavorerà a Radio Cairo conducendo una trasmissione antifascista durante la quale commentava i fatti del giorno. Anche tornata in Italia la sua attività di giornalista prosegue, con un occhio di riguardo per la condizione femminile.

Il romanzo si chiude con una parte finale dove la scrittrice per un periodo vive con la madre, poi decide di seguire la figlia, ormai sposata e madre a sua volta, fino in Kuwait. L’immagine finale con cui si chiude il libro è molto poetica ed è la chiusura di un cerchio che non è perfetto, come la vita di ognuno di noi, ma che ha cercato di trovare un senso e uno scopo a tutto, anche e soprattutto nei momenti più bui.

Trovo inaccettabile che una donna così importante per il panorama culturale italiano, vincitrice del Premio Strega proprio con questo romanzo, traduttrice parte di quella rosa di scrittori che traducevano scrittori, possa essere finita nel dimenticatoio. I suoi libri si possono trovare solo nell’usato, cercando il suo nome su internet compare poco o niente, nonostante non fosse solo una brava scrittrice, ma anche un’attenta osservatrice del proprio tempo e un’attivista contraria alla guerra, antifascista e vicina alla questione femminile.

 

Per approfondire:

–          Fausta Cialente scrittrice europea, Marianna Nepi, 2012, Pacini Editore

–          http://revistas.ucm.es/index.php/CFIT/article/viewFile/41311/39473

–          http://www.italialibri.net/opere/quattrowiesenberger.html

–          http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/95000/93716.xml?key=ilcasofaustacialente&first=1&orderby=1

–          http://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid=1949&stampa=1

 

Ho parlato di Le quattro ragazze Wieselberger anche qua: 

Traduttrice, femminista, lettrice.
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