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Qual è la traduzione migliore?

Giudicare una traduzione senza il confronto con l’originale o basandosi solo sull’editore che la pubblica è come non voler assaggiare la Nutella perché è marrone.

Pretendere addirittura di giudicare una traduzione senza conoscere la lingua e la cultura di partenza, il contesto, il periodo storico, un minimo della vita dell’autore (e le sue posizioni, l’intento che aveva etc.) è ancora più sbagliato.

Frustrante? Chiaro. Il lettore ha il diritto di accedere ad un’opera ben tradotta. Tuttavia, ogni volta che leggo recensioni in cui si accenna alla traduzione (se si accenna alla traduzione, dato che spesso sembra che i libri si traducano da soli), rimango ogni volta senza parole.

Domenico Ghirlandaio – St Jerome in his study” di Domenico Ghirlandaiohttp://www.artunframed.com/. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

I casi sono sempre e solo due: o il traduttore è stato bravissimo perché la traduzione è “davvero scorrevole”, oppure è un incapace perché il testo è zeppo di errori. Cosa non va in queste due affermazioni? Considerando che dubito fortemente che ogni recensore, per ovvie motivazioni di tempo e perché non si possono conoscere bene tutte le lingue del mondo, confronti il testo con l’originale e si prepari quanto un traduttore su opera e autore, vediamo nel dettaglio perché questi giudizi sono scorretti almeno nel 95% dei casi[1].

Un testo scorrevole non è necessariamente ben tradotto. Ripeto: un testo scorrevole non è sinonimo di buona traduzione. Non lo è. Non possiamo sapere, senza leggere l’originale, come fosse lo stile dell’autore. Non possiamo sapere se la prosa, ad esempio, non fosse volutamente ostica e con riferimenti oscuri. Non possiamo nemmeno dedurlo senza una conoscenza pregressa dell’opera stessa, senza prefazione o note del traduttore. Sono tanti gli esempi di autori che non si fidano dei propri traduttori (traduttore traditore, come si suol dire) e alcuni arrivano anche a controllare in modo maniacale il procedere delle traduzioni verso lingue che conoscono, come Milan Kundera, che ad un certo punto ha cominciato ad auto-tradursi (pratica che solitamente sfocia in una sorta di riscrittura) in francese, preso dallo sconforto[2]. Non ho mai letto Kundera, tantomeno in francese, ma scommetto che le sue traduzioni fossero scorrevolissime, dato che in Francia avevano successo, eppure a lui non stavano bene.

Perché la scorrevolezza non viene quasi mai citata quando parliamo di autori italiani? Perché un testo tradotto deve per forza essere accessibile, trasparente e facile da leggere? Non vi viene il dubbio che una scorrevolezza forzata (e ci sono casi storici, come la traduzione in inglese di Proust, scorrevolissima e non molto fedele[3] – guarda caso fu un successo come mai in nessun altro posto) vada contro la definizione stessa di traduzione?

Passiamo al secondo giudizio, riguardante l’inettitudine del traduttore: di nuovo mi sento di dire che nella maggior parte dei casi sia improbabile che un traduttore professionista possa infarcire un intero di libro di errori[4]. L’errore umano può anche starci, ma di norma esiste la figura del revisore proprio per evitare che l’errore arrivi anche nel prodotto finale. Spesso, però, vengono percepite come errate certe decisioni, come quella di inserire volutamente errori nella parlata di un personaggio, ad esempio. Non mi spiegherò mai perché si accetti di buon grado che in un romanzo italiano qualcuno se ne esca con espressioni dialettali o comunque connotate, mentre se in traduzione compare un imperfetto al posto del congiuntivo casca il mondo. Senza sapere come un personaggio parlava in originale come possiamo giudicarne la lingua in traduzione? Il traduttore deve trovare soluzioni che calzino, non si può certo far parlare in romanesco un personaggio che parla l’inglese della working class degli anni ‘60.

La traduzione è un’arte ed un mestiere sempre troppo sottovalutato e considerato alla portata di tutti, ma non lo è.

Quindi, per concludere, qual è la traduzione migliore di un dato romanzo? A scatola chiusa non si può sapere. Anche ammesso di trovarci di fronte ad una traduzione ottocentesca con i nomi proprio tradotti in italiano, non (o poco) revisionata, la mia opinione è che così incomprensibile non potrà essere. Certo, gli editori dovrebbero avere il buongusto di affidare una traduzione del genere ad un traduttore professionista per farla revisionare, ma non tutte le traduzioni di cinquanta o cento anni fa sono da buttare in toto. Pensiamo a Vittorini, che ha tradotto Steinbeck tagliando, interpretando, modificando il testo e rendendolo più una riscrittura che una traduzione vera e propria: il suo lavoro ha comunque contribuito a far entrare la cultura americana in Italia e non mi sembra che abbia minato il successo dell’autore presso il pubblico nostrano. [5]

 

 


 

 

[1] Perché sì, a volte vengono ingaggiati traduttori non professionisti che ovviamente non sono all’altezza del lavoro e quindi scrivono stupidate. Ma la colpa non è solo loro. Ricordiamolo, non basta essere bilingui o avere fatto un mese a [inserisci capitale a caso] per conoscere a fondo una lingua e una cultura. Faccio sempre la precisazione della cultura perché la lingua è fatta di cultura, di citazioni e riferimenti non esplicitati e se fanno fatica quelli che ci sono nati, in un paese, figuriamoci noi, che facciamo capolino da lontano. Inoltre, esistono corsi di laurea (a numero chiuso, peraltro) per studiare traduzione e interpretariato. Un motivo ci sarà.

[2] https://ejournals.library.ualberta.ca/index.php/TC/article/view/10051

[3] http://www.theguardian.com/books/2014/aug/15/perfect-proust-translation-for-purists

[4] Non prendo neanche in considerazione gli editori che affidano la traduzione ad amici, parenti e chiunque si improvvisi traduttore senza averne i mezzi, perché si commentano da soli.

[5] http://rivistatradurre.it/2012/11/portare-steinbeck-agli-italiani/

Traduttrice, femminista, lettrice.
Articolo creato 41

2 commenti su “Qual è la traduzione migliore?

  1. Ebbene sì, lo confesso, mi sono resa colpevole di questo crimine= scegliere la traduzione che per me è più scorrevole. Premetto che, studiando lingue, sono perfettamente consapevole del fatto che potrebbe non essere fedele all’originale, ma non posso farci niente xD c’è da dire che raramente ho detto che una traduzione fosse brutta, semmai ho detto che si sentiva che era vecchia perché usava termini desueti o la costruzione delle frasi in italiano suonava macchinosa. Le rare volte in cui ho pensato che fosse effettivamente fatta maluccio si trattava di lingue che conoscevo (tranne in un caso, dove c’era fondamentalmente un problema di ripetizioni di avverbi in “mente”); e comunque alla fine si è rivelato vero, vuoi perché si trattava di una ritraduzione (dal tedesco per un testo danese, piango), vuoi perché era un’edizione poco curata. Probabilmente ho un certo orecchio, non lo so xD comunque non mi permetterei mai di dire che una lingua che non conosco è resa male, al massimo dico che non piace a me (esempio: la traduzione de Il Processo di Kafka per Einaudi è stata fatta da Primo Levi. Non ho dubbi che sia fatta bene, solo che io la trovo pesante e forse preferisco quella Adelphi. Che magari, chi lo sa, è meno fedele all’originale). E non lo so, mi sentivo presa in causa ahahah.

    1. Ahahaha tranquilla 🙂 C’è anche da dire che a parte per i veri e propri errori di traduzione tanti dettagli sono soggettivi, quindi ci sta anche il gusto personale. Inoltre, ci sarebbe da aprire una parentesi anche sugli scrittori che traducono, visto che molti impongono in un certo senso il loro stile, ma non volevo scrivere un poema epico xD Io me la prendo con chi giudica a caso, quando magari anche l’originale è di lettura non facile, quindi tu ti salvi 😀 Grazie per essere passata di qua! :*

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